Da Montolmo e Corridonia
San Rinaldo Confessore
San Rinaldo, discendente dalla nobile famiglia Pampinoni, appartenne all’Ordine dei crociferi, a detta dei quali sarebbe nato nella seconda metà del XII secolo. Morì nel 1220 e nel 1309 venne santificato con rito vescovile. Le celebrazioni in suo onore si tenevano il giorno 24 del mese di gennaio: gli abitanti di Montolmo lo venerarono fino agli inizi dell’Ottocento, in una chiesa a lui dedicata, con annesso convento e ospedale, sorta a breve distanza da Porta San Donato fino alla soppressione dell’ edificio sacro avvenuta nel 1804 per volere dell’arcivescovado fermano.
Eugenio Niccolai
Figlio unico, nacque a Pausula nel 1895 da Ermete Niccolai (funzionario del Ministero di Grazia e Giustizia) e Pia Spagnoli. Frequentò la Facoltà di Giurisprudenza a Macerata, dedicandosi al contempo ad attività giornalistiche, fino a quando, nel maggio del 1915, decise di partire volontario nella prima guerra mondiale. In settembre venne nominato sottotenente di Complemento nell’Arma di Fanteria e partì per il fronte assegnato alla Brigata “Sassari”. Nel mese di novembre partecipò all’azione che portò alla conquista della “Trincea delle Frasche” e della “Trincea dei Razzi”. Nel maggio del 1916 marciò con la sua brigata per dieci giorni e dieci notti fino all’altipiano di Asiago, per raggiungere i Battaglioni Alpini che arginavano l’avanzata austriaca verso la pianura vicentina. Il 14 settembre Niccolai fu promosso Tenente. Nell’agosto del ’17 venne inviato nuovamente sul Carso e di lì all’altipiano della Bainsizza – sulla sinistra del medio Isonzo –per difendere le trincee di prima linea. La Brigata Sassari si distinse anche stavolta, tanto da meritare una seconda medaglia d’oro al valor militare; inoltre, il 24 ottobre, in occasione della drammatica rotta di Caporetto, i soldati della “Sassari” furono tra i pochi rimasti a proteggere la ritirata. L’8 novembre Eugenio Niccolai venne promosso Capitano di Complemento. Tra il 28 e il 31 gennaio del 1918 si svolse la “Battaglia dei Tre Monti” che, dopo Caporetto, segnò l’inizio della riscossa italiana durante la quale morì. Il 29 maggio del 1919 fu decretata in suo onore la medaglia d’oro al valor militare.
Luigi Lanzi
Nato a Treia (allora Montecchio), nel giugno del 1732, figlio di Bartolomea Firmani e del medico Gaetano Lanzi, a cinque anni fu colpito da una grave malattia – forse il vaiolo – e la sua guarigione, che secondo alcuni ebbe del miracoloso, venne attribuita all’intercessione di San Luigi Gonzaga. La famiglia, già intenzionata ad avviare il bambino verso la carriera ecclesiastica, decise di affidarlo alla Compagnia di Gesù. Nel 1744 si trasferì a Fermo e studiò presso il Collegio dei Gesuiti dove nel 1747 ricevette la tonsura. Nel novembre del 1749 si recò a Roma, indossò l’abito della Compagnia di Gesù ed iniziò ad insegnare, attività che condusse fino al 1773 quando l’Ordine fu soppresso. Nel 1775 assunse la carica di antiquario della Galleria degli Uffizi di Firenze e, dal 1780, fu membro della commissione che si occupò di riordinare e rammodernare la galleria granducale. Tra le sue opere ricordiamo: La Real Galleria di Firenze accresciuta e riordinata (1782); Notizie preliminari circa la scoltura degli antichi e vari suoi stili (nel 1785 in inglese e nel 1789 in italiano); Saggio di lingua Etrusca e di altre antiche d’Italia; De’ vasi antichi dipinti volgarmente chiamati etruschi (nel 1801); Storia pittorica della Italia inferiore (del 1792); Storia pittorica della Italia (1795-96). Nel 1798, con l’arrivo dei francesi lasciò Firenze per raggiungere Udine dove fu ospite dei Barnabiti. Tornò in riva all’Arno nel 1801 e nel 1808 ottenne la presidenza della sezione della Crusca. Da quel momento, le sue condizioni di salute peggiorarono sistematicamente a causa di gravi disturbi alla vista e alle articolazioni. Morì nel capoluogo toscano nel marzo del 1810.
Giovan Battista Velluti
Nato a Montolmo nel 1780, il Velluti è stato l’ultimo dei grandi sopranisti, definito dal Rossini “imperatore del dolcissimo canto”. Lasciò il paese natale in giovane età e studiò sotto la guida dell’abate Carpi facendo il suo esordio in pubblico ad appena quindici anni. Debuttò ufficialmente a Forlì nel 1800 e nel 1803 già figurava nel cartellone del San Carlo di Napoli. Tra il 1805 e il 1808 lavorò a Roma, dopo di che fu chiamato dal Teatro la Scala di Milano per affiancare alcuni grandi artisti del tempo (Cesarini e la Colbran su tutti). Tra il 1817 e il 1821 fu a Torino, nel 1822 a Parma e tra il 1822 e il 1824 a Venezia, città in cui farà ritorno nel 1826. Si esibì nei più prestigiosi teatri europei, ricevendo i complimenti persino da Mendelssohn che lo aveva ascoltato a Londra nel 1829. Incantati dalle sue qualità artistiche, il Rossini e il Meyerbeer scrissero opere appositamente per lui.
Quando iniziò ad avvertire il declino della voce, il Velluti decise di ritirarsi nella sua villa di Sambruson di Dolo – presso Venezia – dove morì nel 1861.
Sigismondo Martini
Pittore, decoratore, scenografo e restauratore, il Martini nacque a Pausula nel 1858. Dopo aver frequentato le scuole elementari e tecniche, ricevette una borsa di studio erogata dal Comune per la Regia Accademia di Belle Arti di Firenze. Nel 1879 partecipò con successo all’Esposizione Artistica Maceratese e nel 1883 realizzò – sempre a Macerata – alcune sezioni dell’apparato decorativo per la commemorazione di Giuseppe Garibaldi. Nel 1888 prese parte alla Mostra Operaia di Camerino, ottenendo il massimo riconoscimento. Nel 1889 si trasferì a Penne (PE), dove gli era stata assegnata la cattedra di “ornato e figura” nella locale Scuola d’Arte. Tra il 1904 e il 1909, il Martini portò a termine la ristrutturazione del Teatro “G. B. Velluti” di Pausula, palesando il suo “recente” accostamento al nuovo gusto liberty; nel mentre venne nominato rappresentante del Ministero della Pubblica Istruzione (1908) presso la Scuola Tecnica Industriale del suo paese, nella quale poté insegnare fino al conseguimento della pensione. Colto da una grave malattia, si spense a Macerata nel 1934. Uomo dall’animo nobile, dotato di grande onestà e rettitudine morale, donò i propri beni al Comune di Corridonia: quadri, libri, villa di campagna; oltre ad una somma da destinare agli studenti poveri che avessero scelto di intraprendere gli studi artistici.