Filippo Corridoni
Infanzia e prima formazione (1887-1915)
Filippo Corridoni nasce il 19 agosto 1887 a Pausula (oggi Corridonia) da Enrico e Enrichetta Paccazocchi. Il padre lavora come operaio in una fornace, la madre in casa: a Filippo detto Pippo, il primogenito, seguiranno Giuseppe (Peppino), Ubaldo (Baldino) e Maria. Trascorre un’infanzia in condizioni economiche stentate, ma dignitose; usufruisce degli insegnamenti del prozio Filippo, noto frate francescano, uomo di cultura e predicatore di fama. Sotto la sua guida, il piccolo Filippo supera l’esame di terza elementare e apprende anche i primi rudimenti di latino e francese: quest’ultima lingua di grande importanza per la sua formazione politica. Dopo le elementari, frequenta con merito le scuole tecniche. Ma all’inizio del terzo anno il padre è costretto a fargli interrompere gli studi a causa delle ristrettezze economiche e Pippo inizia a lavorare nella fornace di laterizi. Non trascura tuttavia gli amati libri e riesce ad ottenere nel 1904 il diploma di perito e disegnatore di macchine. Anche se risulta problematico ricostruire in modo preciso il suo apprendistato culturale e politico, si può affermare che Corridoni si forma alle idee repubblicane, legge Mazzini, Pisacane e forse Marx. Operare per il mondo del lavoro diventa la sua idea-forza, la sua cifra, insieme a una forte intelligenza ed un carattere franco, ardito, leale, teso a difendere i deboli, sempre desideroso di apprendere.
Gli esordi 1905-1907
Ai primi di gennaio del 1905 Pippo si trasferisce a Milano, dove inizia a lavorare come disegnatore meccanico nella più grande industria metallurgica della città, la “Miani e Silvestri”, dove incontra il maceratese Comunardo Braccialarghe che lo introduce nei circoli rivoluzionari.
Aderisce alle idee del sindacalismo e in poco tempo si trova in prima fila a guidare il circolo giovanile socialista rivoluzionario a maggioranza sindacalista e osteggiato dalla direzione del partito, in quel momento a maggioranza riformista.
Il primo suo maestro, oltre a Braccialarghe, è Giovanni Petrini, che difende i giovani sindacalisti contro i vertici del partito. Licenziato dalla “Miani e Silvestri”, viene assunto dalla ditta Helvetica, sempre come disegnatore, dove rimarrà fino al marzo 1907. Si getta in quel periodo nel lavoro politico e organizzativo. Sciopero dei metallurgici nell’aprile, manifestazione anticlericale nel maggio: Corridoni è ormai un personaggio noto alla polizia e ai giornali del tempo. Subisce il primo processo, è condannato a 33 giorni di reclusione, ma viene rilasciato perché incensurato. Si apre così una lunga serie di processi e di condanne. Matura in lui l’adesione al sindacalismo rivoluzionario, cui resta fedele fino alla morte. Ma le sue battaglie non si limitano al piano sindacale. Fonda con Maria Rygier, giovane anarchica, il periodico antimilitarista Rompete le righe!, il cui motto è: “L’esercito non si nega. L’esercito si conquista. Faremo la rivoluzione con l’esercito non contro l’esercito”. Nel luglio del 1907 è arrestato per aver distribuito Rompete le righe! davanti ad una caserma. Processato e condannato a 5 anni di reclusione per apologia di reato, rimane in carcere fino al 19 novembre 1907. Grazie ad un’amnistia viene scarcerato, ma deve comunque riparare all’estero quando emerge che il provvedimento di clemenza non è per lui applicabile. Giunge a Nizza il 9 dicembre 1907, dove continua la sua attività politica e sindacale. Inizia la dura e drammatica esperienza del suo primo esilio e si manifestano anche i segni della malattia che lo accompagnerà nella breve esistenza, probabilmente la tisi.
1908 Lo sciopero agrario del parmense
Dall’esilio di Nizza mantiene i contatti con gli ambienti sovversivi milanesi e continua la sua battaglia antimilitarista con articoli sull’Internazionale, il quotidiano dei sindacalisti rivoluzionari. Agli inizi di maggio, quando l’eco del grande sciopero agrario del parmense lo raggiunge, Pippo decide il rientro clandestino in Italia. Assume il falso nome di Leo Celvisio per sfuggire ai controlli della polizia: il nome Leo è in riferimento alla rocca di S.Leo, prigione simbolo, in epoca pontificia, di molti detenuti politici, mentre Celvisio deriva dal cartello pubblicitario della birra omonima visto a Ventimiglia, al rientro in Italia. A Parma si sta conducendo una durissima battaglia tra la Camera del Lavoro sindacalista guidata da Alceste De Ambris e l’Associazione Agraria guidata da Lino Carrara. Corridoni è subito in prima fila e in pochi giorni il nome di Leo Celvisio è sulla bocca di tutti, in particolare per la sua lotta contro i “crumiri”. La situazione diviene drammatica con l’intervento dell’esercito che il 20 giugno reprime l’agitazione occupando la Camera del Lavoro e costringendo alla fuga De Ambris. Corridoni resta al fianco dei lavoratori, ormai stremati da mesi di sciopero. Egli diviene così il simbolo di un tipo di lotta ispirata ai principi sindacalisti dell’azione diretta, contrari ad ogni mediazione politica dei partiti e incentrata sul ruolo fondamentale del sindacato. Alla fine di agosto riconosciuto dalla polizia Pippo deve rifugiarsi di nuovo in esilio, a Zurigo.
1909-1910
Una nuova amnistia consente a Corridoni il rientro in Italia nel febbraio 1909. Si reca per un brevissimo periodo a Pausula presso la famiglia da cui mancava da un anno e mezzo. Nel maggio partecipa al Congresso Nazionale dell’Azione Diretta a Bologna, dove sostiene l’unità sindacale e la permanenza nella Confederazione Generale del Lavoro. A fine maggio viene nominato segretario della Camera del Lavoro di S.Felice sul Panaro, dove tenta un’azione politica di sintesi tra l’ala riformista e quella rivoluzionaria dei lavoratori della terra modenesi. Si distingue anche per le aggressive campagne anticlericali; dirige il giornale Bandiera Rossa, dalla breve vita, e collabora con Bandiera Proletaria, diretta da Edmondo Rossoni. Nell’ottobre 1910 rientra a Pausula, dove, d’ora in avanti, le sue apparizioni diventeranno rarissime, anche se l’affetto e l’attaccamento alla famiglia rimarranno grandissimi.
1911
Con il suo ritorno a Milano, nel gennaio 1911, inizia per Corridoni la fase culminante della propria milizia sindacale, data la convinzione maturata dal giovane leader, anche alla luce delle deludenti esperienze fatte tra i lavoratori dei campi, che la vera protagonista della lotta rivoluzionaria è la classe operaia. Viene chiamato nella redazione de La Conquista, organo del Sindacato Ferrovieri, di ispirazione sindacalista, e nello stesso tempo assume la guida del sindacato Gasisti, una delle punte più avanzate del movimento operaio milanese, ed è chiamato a dirigere la Camera del Lavoro di Legnano. Sostiene la necessità di organizzare i sindacati sulla base dell’appartenenza all’unità produttiva, la fabbrica, e non sulla base della qualifica, come erano fino a quel momento organizzati i cosiddetti sindacati di mestiere. Si pone così in essere un modello fortemente innovativo di organizzazione e di relazioni industriali. Guida in quei mesi il grande sciopero dei gasisti milanesi. Agitazione lunga e difficile, in cui dimostra le sue qualità di organizzatore oltre che quelle di agitatore. In quei mesi la città di Milano diventa il centro di aspre lotte sociali, ma anche di contese interne al movimento. Il peso ed il ruolo che Corridoni ha in questa fase sono soprattutto legati alle sue doti e al suo fascino personale, alle sue capacità di trascinare, dovuti tra l’altro alla “sua oratoria irruente che affascina le masse”, alla sua impulsività accompagnata da una straordinaria generosità e ad una rara intransigenza morale.
La Guerra di Libia
Nel frattempo, settembre 1911, scoppia la guerra di Libia. La politica interna di Giolitti di cauta apertura e di lento assorbimento nei confronti del mondo operaio viene messa in crisi. Anche all’interno del sindacalismo rivoluzionario si determina una frattura insanabile tra il gruppo degli intellettuali come Labriola, Olivetti, Orano, favorevoli al conflitto, e le organizzazioni operaie, decisamente contrarie, guidate da uomini come Alceste e Amilcare De Ambris, Tullio Masotti, e naturalmente Corridoni. Essi definiscono un atto di brigantaggio la guerra, del tutto inutile anche dal punto di vista dei vantaggi per il proletariato. Pippo, fedele al vecchio antimilitarismo, distingue tuttavia la sua posizione da coloro che invitano semplicemente i giovani alla diserzione sistematica, in quanto “il vero antimilitarismo lo si fa nelle caserme”.